un libro scritto sull’acqua”, così Irene Alison, (38 anni, lavora da dieci nel settore della fotografia come critico e curatore. Giornalista professionista, pubblica regolarmente articoli di approfondimento fotografico su magazine e quotidiani come La Lettura, de Il Corriere della Sera, IlSole24ore, D – La Repubblica delle Donne e Pagina99. Dal 2014 è direttore creativo dello studio di progettazione e produzione fotografica DER*LAB) definisce il suo ultimo lavoro, un libro che, prima ancora di essere stampato, sarà già sommerso dalla prossima rivoluzione

Roma, 2015. Revisione bozze di iRevolution. Ph. Irene Alison
Roma, 2015. Revisione bozze di iRevolution. Ph. Irene Alison

Ma un libro comunque da leggere, dove l’autrice prova, con successo, a raccontare la storia di questo strumento e a farci capire a che punto siamo.

Si pone delle domande la Alison, domande alle quali, con l’aiuto di molti autorevoli punti di vista, prova a dare una risposta; in un mondo nel quale siamo tutti fotografi quale è il ruolo che rimane al professionista? O ancora, la mobile photography come cambia le regole del mercato?

Perché la vera rivoluzione non è stato il passaggio dall’analogico al digitale bensì l’introduzione della condivisibilità delle immagini. Quindi una storia che parte dall’ormai lontano 2008 con l’introduzione di Hipstamatic ed arriva fino ad oggi analizzando tutte le fasi che la hanno caratterizzata, dalle immagini finto vintage ai nonselfie di Alec Soth fino al reportage in real-time.

Il libro e ricchissimo di contributi competenti, Michele Smargiassi, Paul Wombell, Kathy Ryan, solo per citarne alcuni; 231 pagine con moltissime immagini a colori che ci fanno rendere conto delle sfumature, spesso trascurate, che caratterizzano questa rivoluzione.

New York, 2013. Un dettaglio dell’ufficio della photoeditor Kathy Ryan al New York Times Magazine. Ph. Irene Alison
New York, 2013. Un dettaglio dell’ufficio della photoeditor Kathy Ryan al New York Times Magazine. Ph. Irene Alison

La seconda parte del volume è dedicata alle interviste a fotografi professionisti che hanno scelto di utilizzare lo smartphone, o anche lo smartphone, per i propri progetti, gente del calibro di Peter DiCampo (@pdicampo), Ron Haviv (@ronhaviv_vii), Stefano De Luigi (@stefano_de_luigi), Matt Eich (@matteich) e tanti altri ancora.

New York, 2013. Il fotografo Ruddy Roye scatta una foto sulla spiaggia di Coney Island. Ph. Irene Alison
New York, 2013. Il fotografo Ruddy Roye scatta una foto sulla spiaggia di Coney Island. Ph. Irene Alison

Grazie alla gentilezza dell’autrice mi è stato possibile leggere in anteprima il volume e avere la possibilità di farle alcune domande:

  • Come è nata l’esigenza di scrivere iRevolution?

Il primo spunto è nato da un articolo scritto nel 2012 per La Lettura, il domenicale de Il Corriere della Sera, sull’impatto della mobile photography sul linguaggio e sul mercato della fotografia. Era un’analisi appena abbozzata di un fenomeno che mi incuriosiva e che sentivo essere molto più complesso di quanto un articolo mi desse l’opportunità di spiegare. Casualmente, lo stesso interesse animava il mio editore Claudio Corrivetti (Postcart), che dopo averlo letto mi mandò subito un messaggio: “facciamone un libro!”

Roma, 2014. Prove di stampa di iRevolution. Ph. Irene Alison
Roma, 2014. Prove di stampa di iRevolution. Ph. Irene Alison
  • Quale è il tuo rapporto con la mobile photography?

Ne sono un’avida “consumatrice” e produttrice. E ho, con la mobile photography, un rapporto molto più spensierato e liberatorio di quello che ho con altre forme ed espressioni della fotografia. Sia perché, attraverso Instagram, ricevo e assorbo una quantità enorme di informazioni visive di contenuto estremamente vario (attualità, moda, arte, design, ecc.) ma selezionato in base ai miei gusti e alle mie esigenze, sia perché, sempre attraverso Instagram, mi sento libera di comunicare visivamente tanto i miei stati d’animo quanto le informazioni che intendo veicolare all’esterno. Personalmente, è il luogo dove posso rinegoziare le barriere tra il ruolo critico e il ruolo creativo che ho rispetto alla fotografia, dove posso tradurre visivamente le idee e le emozioni che ho in testa, e attraverso il quale posso viaggiare in luoghi, vite, storie lontane da me, restando a casa mia. Ma, come il mio libro cerca di illustrare, Instagram, e la mobile photography in generale, non sono solo questo: possono essere strumenti di informazione, riflessione, denuncia e documentazione potenti, se usati consapevolmente.

  • Hai un profilo Instagram (@irene_alison77) cosa ne pensi dell’evoluzione di questo strumento?

Mi interessa molto analizzare le evoluzioni, rapide quanto impercettibili a un occhio poco attento, che il linguaggio visivo parlato dalle milioni di persone che comunicano attraverso Instagram compie quotidianamente. Nuovi stili e nuovi cliché nascono e muoiono di continuo: imparare a riconoscerli è, secondo me, interessante da più punti di vista. Perché parlano di noi, del nostro desiderio di omologazione, di come traduciamo e sintetizziamo in visione gli stimoli (ambientali, sociali, persino economici) che ci investono ogni giorno: basti pensare a quanto rilevato dagli approfonditi studi, citati in iRevolution, realizzati per interpretare la portata socioantropologica di fenomeni come il selfie o lo stile finto-vintage. Allo stesso tempo, mi interessa constatare come, ogni giorno, si scopra su Instragram qualcosa di nuovo: un uso imprevisto, innovativo, sovversivo del mezzo, che restituisce la misura di quanto siano estese e impreviste le sue potenzialità.

  • Nel tuo libro ci sono tanti interventi di personaggi molto autorevoli in campo fotografico, come li hai selezionati?

Si tratta di professionisti (critici, photoeditor, curatori) che, avendo un ruolo di rilievo nel mercato fotografico o nell’evoluzione del pensiero critico attorno a questo linguaggio, hanno avuto modo di elaborare esperienze o riflessioni attorno alla mobile photography. Parliamo di un cambiamento enorme: la fotografia si è definitivamente trasformata da mestiere per professionisti in linguaggio universale. Per comprendere meglio la portata di questo cambiamento mi è sembrato giusto “aprire” il mio punto di vista (e magari quello di lettori) al dialogo con altri sguardi.

New York, 2013. Un iPhone tatuato sulla mano del fotografo Ruddy Roye. Ph. Irene Alison
New York, 2013. Un iPhone tatuato sulla mano del fotografo Ruddy Roye. Ph. Irene Alison
  • A tuo parere, quanto cambierebbe iRevolution se fossimo nel novembre del 2016?

Non lo so. È già stata una grande fatica riuscire a tenere il passo con i cambiamenti rapidissimi che si sono verificati nei tre anni di lavorazione del libro! Una delle caratteristiche di questa materia (ma forse più in generale del mondo contemporaneo) è la fluidità con cui cambiano i linguaggi e la rapidissima obsolescenza degli strumenti tecnici. Dubito che in un anno lo smartphone sarà già uno strumento superato, ma tra dieci chissà? Magari staremo facendo foto con un Apple Watch? E questo come investirà e cambierà il linguaggio visivo? In ogni caso, spero davvero ci possa essere l’opportunità di ripubblicare iRevolution in una versione aggiornata da qui a qualche tempo, per poter continuare a riflettere su questi temi.

  • La mobile photography ha cambiato, soprattutto nei giovani, il modo di percepire la fotografia, a tuo parere come questo si rifletterà in campo artistico? (tra 20 anni avremo delle gallerie che esporranno foto quadrate scattate con il telefonino)?

L’impatto della mobile photography su forme, strutture e mercati della fotografia d’autore è già enorme: il mio libro, in effetti, parla esattamente di questo. Basta pensare alla nuova frontiera del mobile stock, a esperienze come quelle di Richard Koci Hernandez o Stefano De Luigi, che già da anni espongono nelle migliori gallerie del mondo serie e progetti realizzati con l’iPhone, alle pubblicazioni ottenute da fotografi come Michael Christopher Brown o Brad Mangin sui più prestigiosi magazine internazionali, alla cover di Time del 2012 scatatta da Benjamin Lowy con il telefono. Resta da chiedersi, sicuramente, se la diffusione di massa della fotografia alla quale stiamo assistendo ci renderà non solo produttori, ma anche consumatori più consapevoli di fotografia. I giovani che oggi si scattano i selfie domani compreranno più libri di fotografia? Andranno a più mostre? Difficile dirlo, ma penso che il mio ruolo da giornalista e da critico che si occupa di questa materia sia contribuire, per quello che posso, a nutrire questa consapevolezza.

Il volume è edito da Postcart ed è acquistabile a questo link.

Francesco Mattucci (@iena70)

Francesco Mattucci

Francesco Mattucci è un libero professionista e consulente aziendale su Instagram e la comunicazione digitale. È l'ideatore del progetto @kitchensuspension che lo ha portato a collaborare con grandi brand internazionali e di cui anche Instagram stessa ha parlato sul proprio blog. Le sue foto sono state esposte nella sede di Instagram a Menlo Park. È speaker in importanti eventi sulla comunicazione digitale e il web marketing e autore del libro “Instagram non è fotografia”.

Questo articolo ha 2 commenti.

    1. Francesco Mattucci

      Personalmente lo ho trovato estremamente interessante.

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